Una corte del ‘300, a due passi dal Po. La Santiago de Compostela di tutti gli amanti del salume nobile per eccellenza: il culatello.
Da raggiungere attraverso un cammino di gusto e scoperta, tra le storie di Guareschi e le ispirazioni di Giuseppe Verdi.
Bassa parmense, sulle rive del grande fiume.
Dove il sole riscalda i campi e conforta le anime.

Un viale alberato, alla fine del paese.
Alla nostra sinistra, lo sguardo si incanta su di una piccola chiesa, di chiara estrazione guareschiana. Modesta, semplice, e, forse proprio per questo, affascinante, nella sua purezza.
E’ un segno dell’esperienza che stiamo per vivere.
Antica Corte Pallavicina, a Polesine Parmense.
Lasciamo l’auto e ci inoltriamo lungo un elegante sentiero ghiaioso, in compagnia di rose lussuriose e pavoni vanitosi.
Entriamo nel giardino della corte. Edificio del ‘300, perfettamente restaurato, dopo un lavoro trentennale, dai fratelli Spigaroli.
Aperto da pochi anni, si racconta che il manifesto del loro pensiero sia stato impresso su carta da uno dei due, lo chef Massimo, davanti al Golden Gate, nella baia di Oakland, in una serata nebbiosa, di una decina di anni fa.
Ed ora, eccoci qui, pronti a testimoniarlo.

Veniamo accolti, come tutti gli ospiti, da un piacevole aperitivo, all’ombra di una riposante veranda in legno.
Sono proposte diverse varietà di crostini con salumi: dalla pancetta al lardo, dal crudo all’immancabile culatello, in differenti stagionature. In compendio, un salame felino affettato con maestria, ed un parmigiano reggiano 24 mesi a scaglie.
In compagnia di un piacevole franciacorta, freddo al punto giusto.
Ci allontaniamo, non senza fatica, dall’impeccabile benvenuto, e veniamo quindi condotti nel cuore del maniero.
Il santuario.
Ora, esistono certo vari tipi di religione e di divinità, in tutto il mondo.
Da queste parti, al di la di nostro Signore, vi è unico culto: quello per il culatello.
Pellegrini da ogni angolo del globo arrivano in questo tempio, in adorazione.
Alain Ducasse, Gualtiero Marchesi, Massimo Bottura, Nadia Santini; ma anche il principe Alberto di Monaco, la regina Elisabetta e Paul Allen, CEO di Microsoft. Per citarne alcuni.
E ne prenotano ciclicamente uno o più esemplari, da contemplare (ed assaporare).
Più di 6000, in totale, i pezzi conservati in stagionatura, all’interno dell’umido caveau.

A queso punto, tutto il resto potrebbe apparire superfluo.
Ma decidiamo comunque di sederci a tavola, già che ci siamo.
Uno dei meravigliosi menù degustazione è il frutto della nostra, soffertissima, scelta. Nello specifico, “Il Territorio com’è e com’era”. Un omaggio sincero alla pianura emiliana, in tutte le sue forme.
Ribadiamo il piacere del nostro precedente incontro, dunque, partendo da un Podio di culatelli di suino bianco 18 e 27 mesi del presidio Slow Food, di nera parmigiana di 37 mesi e giardiniera di Corte.
Da leggenda.
Proseguiamo a deliziare altresì il palato, con i tortelli d’erbette alla parmigiana al doppio burro d’affioramento delle vacche rosse e con i soffici ai tre parmigiani in crosta di sfoglia dorata allo zafferano, piatti veramente interessanti.
A seguire, un accenno di mare. O meglio, di fiume: le coscette di rana all’aglio dolce e prezzemolo, su patate schiacciate e germogli verdi. Eccezionali.
Il pane, di fattura casereccia, rivela la cura e l’amore per questa tavola.
Se mai ce ne fosse ulteriore bisogno.

Infine, non senza lieve affanno, chiudiamo con un prelibato Entrecôte del nostro maiale nero con i suoi 120 giorni di frollatura, ornato dalla classica, ma mai banale, selezione dei formaggi del territorio.
Il dessert, solitamente alla carta, è stato ben interpretato da una torta alla frutta, per festeggiare il genetliaco di chi scrive.
Come vino, ci affidiamo alle sicure uve del Castello della Sala, di annate diverse (più che una verticale, una capriola, data l’abbondanza di benessere da noi ingerito).
Conto, intorno ai 120 euro a testa.
Ci allontaniamo, entusiasti e sognanti, cullati dalle arie verdiane.
Salutiamo i pavoni, le chiese, i fiori ed i culatelli.
Inseguiti da Don Camillo e Peppone, sulle loro biciclette.

C’è poco di paragonabile, da queste parti e non solo.
Un must.





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