L’orribile morte dei due prigionieri americani, per mano dell’ISIS, sconvolge il mondo, ma seduce i fanatici.
Esattamente quello che vogliono Al Baghdadi ed i suoi seguaci.
E’ l’occasione, per le grandi potenze minacciate, di unirsi e trovare un punto d’incontro.
Prima James Foley, poi Steven Sotloff.
Un orrore senza fine, che ricorda le parole del colonnello Kurtz, interpretato da un magistrale Marlon Brando, nel finale di “Apocalypse Now”.

Ma, a differenza dell’inferno vietnamita e dell’incauta azione di guerra americana, in Iraq la strategia dell’ISIS assume connotati più evidenti.
Da un lato, provocare gli Stati Uniti, meno guerrafondai di un tempo (forse fin troppo, a detta di alcuni), per via della dottrina del ‘non fare cose stupide’ di Barack Obama, ma comunque sempre sensibili agli attacchi arrecati ai propri connazionali, ovunque essi avvengano.
Dall’altro, sfruttare al massimo i nuovi social media, con video angoscianti e sanguinosi, iniettati sul web, come un morbo, un virus, che si propaga in ogni angolo del globo.
Nel giro di pochi giorni, hanno raggiunto una notorietà globale. Hanno sfidato il mondo, raccogliendo dichiarazioni di sdegno ed unanimi condanne, ma anche diversi amici e nuovi follower, ispirati dal credo dell’organizzazione di Al-Baghdadi.
E qualche emulatore, come i jihadisti filo-Al Qaeda, che a fine agosto hanno decapitato quattro presunte spie del Mossad.
Per la prima volta, a favore di telecamere.
La partita è iniziata. I nemici dell’Islam sono tanti, a detta loro. Dagli USA, all’Europa. Dal Papa a Putin. Dalla Cina alla Turchia. Sino all’obiettivo ultimo, come sempre. Israele.

Tutti gli infedeli, dunque.
Che si trovano uniti, per forza di cose, nell’affrontare questa minaccia.
Ora la scelta sta ai leader ed ai governi coinvolti.
Hanno l’opportunità di superare le divergenze e di trovare un punto d’incontro, a Gaza come a Donetsk, con meno estremismi e più moderazione.
E di provare a colpire il terrore islamico nel loro punto più vulnerabile.
L’economia.
Cercando un’intesa con il Qatar e l’Arabia, principali finanziatori delle milizie sunnite dell’IS, perchè antagonisti del governo sciita iracheno; provando ad interrompere i rifornimenti di armi e di energia, ove possibile; bloccando alla fonte i reclutamenti di nuovi terroristi sui propri suoli nazionali (il boia dei due reporter statunitensi ostentava un corretto accento britannico, a tal proposito).
Tutti insieme, per la sicurezza ed il benessere comune.
Senza cadere nella trappola dell’intervento militare di terra, in cui resterebbero nuovamente impantanati, assecondando il gioco dei miliziani.
E magari si potrebbero aprire nuovi canali di dialogo, anche tra Paesi troppo spesso gli uni di fronte agli altri, e quasi mai di fianco.
L’ONU dovrebbe avere questa funzione.
Che agisca.





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