La caccia ad un serial killer, dal 1995 al 2012, tra le paludi della Louisiana e riti ancestrali.
E l’indagine dei due protagonisti, su se stessi e sui propri demoni.
Una serie tv che è già un cult.
http://www.youtube.com/watch?v=TXwCoNwBSkQ
Louisiana, 1995.
Il cadavere di una ragazza viene ritrovato all’ombra di un albero, nel cuore di un prato sconfinato.
La sua posa, i segni dipinti sul corpo, gli amuleti appesi ai rami, sono l’eco di un antico rituale, oscuro e terribile.
I detective Cohle e Hart vengono incaricati di seguire il caso.
E dall’inizio si passa alla fine.
Louisiana, 2012.
Un’altra donna è appena stata uccisa, apparentemente con le stesse modalità.
I detective Cohle e Hart vengono richiamati, separatamente, a ricostruire ciò che sia avvenuto in questi anni.
Che li ha cambiati per sempre.
Il caso si riapre.

Questo è il prologo di “True Detective” nuova serie tv dell’HBO, celeberrima televisione via cavo statunitense, madre di produzioni seriali di culto, che spaziano dai “Soprano” a “Sex & the City”, passando per “Il Trono di Spade”, “Band of Brothers” e “Boardwalk Empire”.
Scritta dal romanziere Nic Pizzolatto ed interamente diretta da Cary Joji Fukunaga, è strutturata in otto puntate, al termine delle quali, l’intero cast, set e trama vengono del tutto rinnovate (è già in produzione la seconda stagione, ambientata in California, con Colin Farrell e Vince Vaughn).
Il titolo potrebbe apparire ingannevole, se letto superficialmente.
L’ennesima detective-story, con il poliziotto buono e quello cattivo, che indagano, sparano, inseguono e, alla fine, risolvono.
Nulla di tutto questo.
L’atmosfera è cupa, i pensieri foschi, i personaggi fragili.
Il continuo salto temporale tra passato e presente, spesso sovrapposti, conferiscono ritmo ed un punto di vista interessante.
La fotografia è inquietante e coinvolgente, senza sbavature.
La trama si trasforma ben presto in una cornice, che raccoglie ed inquadra i due protagonisti, altrimenti sfuggevoli e complessi.
Martin Hart, padre di famiglia, marito affettuoso, endemicamente infedele e schiavo dell’alcol, incarnato da un efficace Woody Harrelson. Pragmatico, figlio di un’America umida e mediocre, all’apparenza semplice, ma in realtà in perenne conflitto con se stesso.
Rust Cohle, interpretato da un sublime Matthew McConaughey, che si conferma all’apice della sua carriera, nell’anno dell’Oscar. E’ un uomo complesso, magnetico, oltre i limiti, profondamente segnato dal dolore.

Le sue riflessioni, oniriche e frutto di una sceneggiatura a tratti eccessivamente autoreferenziale, giocano sul confine sottile tra vita, religione, filosofia e letteratura.
Allontanandosi dal qui ed ora, con maniera, e finendo col perdersi nelle paludi, nelle tradizioni e nell’umanità dei sobborghi rurali di New Orleans.
“True Detective” racconta di un viaggio, introspettivo e potente, raramente ammirato su uno schermo televisivo.
Un percorso in cui bene e male si confrontano, confondono e scambiano tra loro.
Con i due protagonisti impegnati a sconfiggere i propri demoni, per riuscire ad affrontare la verità.
Amara e reale, come meglio non potrebbe.
Un noir, più che un thriller, che pone tante domande e genera poche risposte nello spettatore.
E lo rende partecipe delle indagini.
Sul colpevole e su se stessi.
Come insegnava David Lynch.





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