LOST IN AMBITION


Pensieri, sogni, esperienze e sprazzi di bellezza.

Il Vento e il Leone

3–4 minuti

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Il vento dello Stato Islamico, dopo l’arresto di Kobane, pare essersi placato. Ma non sopito.

I bombardamenti dal cielo si sono dimostrati poco efficaci ed il rischio di una guerriglia di terra frena gli Stati Uniti, che armano curdi ed iracheni contro gli jihadisti.

Dopo l’esecuzione del pilota giordano, la risposta di forza e di cultura del re hascemita indica la strada da percorrere, con costanza, da quel che resta della coalizione moderata.

 

Lo Shamal, il vento torrido ed incessante, che spazza con ferocia i deserti mediorientali, negli ultimi mesi ha soffiato con tenacia inaudita. Quasi spaventosa. Sempre nella stessa direzione, senza un cedimento, con fede incrollabile ed altre correnti, che si univano via via.

Sabbia e polvere. Infiltrate dappertutto, adagiate anche negli angoli più remoti, difficili da individuare. Ed ancor più da ripulire. Da Tikrit ad Aleppo, dalla Libia al Sinai.

Poi, l’arresto.

Mappa attuale dello Stato Islamico (fonte: La Stampa)
Mappa dello Stato Islamico attuale (fonte: La Stampa)

In un luogo preciso, oltre cui non è riuscito a spingersi.

Kobane, nel nord dell’Iraq. Territorio curdo, per etnia e tradizione.

I peshmerga, i combattenti locali, si sono opposti, armati dalle potenze occidentali e da un coraggio indomabile.

Settimane di scontri, sangue, lacrime, dolore.

Ed il vento si è fermato. E’ stato respinto.

Lo Stato Islamico non avanza e non arretra, adesso.

I lunghi periodi di bombardamenti americani e, in minor parte, britannici, hanno colpito circa seimila jihadisti; numero considerevole, se non fosse che ogni mese più di mille volontari varchino i confini immaginari del regno di Al Baghdadi, provenienti da tutto il mondo, per unirsi alla nuova Crociata, contro gli infedeli.

Emirati Arabi, Qatar, Barhein e sauditi si sono già ritirati dalla coalizione, temendo ritorsioni sui loro cittadini e provando a mantenere integri i propri interessi, specialmente finanziari, nella regione.

Guerra aerea raramente efficace, di per sè, nella storia bellica: capitolazione di Milosevic in Serbia a parte, nel 1999, sono le truppe di terra ad aver sempre fatto maggiormente la differenza.

Il cui impiego non è in discussione, almeno per il momento, da parte di Washington, per evitare una nuova guerriglia, che dal Vietnam all’Afghanistan è sempre stato un punto debole dell’America.

Che continua invece ad addestrare l’esercito iracheno e a fornire equipaggiamento ai curdi (con buona pace di Erdogan), con l’obiettivo di un’offensiva primaverile su larga scala, che dovrebbe stringere il territorio islamico in una tenaglia, da nord e da sud.

L’indipendenza energetica raggiunta sotto la presidenza Obama, affranca gli USA dall’astinenza petrolifera dal Golfo Persico, madre, in larga misura, delle scelte scriteriate del texano con gli scarponi sporchi di oro nero, che lo ha preceduto alla Casa Bianca; ma la geopolitica attuale impone il pagamento dei propri errori del passato in quell’area, causa della genesi del mostro islamista.

Poche certezze, tante variabili.

E speranze appesa a un filo.

Nel frattempo, il Daesh (acronimo arabo di ISIS) prosegue nella sua opera di repressione ed esecuzioni.

Secondo l’ultimo rapporto ONU di «Save the Children», decine di bambini, appartenenti a minoranze non coraniche, sono stati crocifissi, decapitati, schiavizzati o sepolti vivi.

Barbarie senza tregua.

Re Abdallah II di Giodania
Re Abdallah II di Giodania

L’assassinio del pilota giordano, di pochi giorni fa, arso vivo e filmato in alta definizione, è l’ultimo tassello di questo immondo mosaico.

E, forse, lo stimolo per una brezza nuova, controcorrente.

Quella di re Abdallah II di Giordania, che, con forza e determinazione, ha deciso di rispondere, mediante attacchi dal cielo mirati e uomini pronti alla battaglia sul campo, ma anche con un grande evento del pensiero musulmano, religione ufficiale del suo paese, che si terrà presso l’ateneo Al-Azhar del Cairo.

L’obiettivo è quello di provocare una spaccatura all’interno della fede sunnita, base teologica dello Stato jihadista, fortemente radicalizzato contro lo sciitismo iracheno e dell’Iran, oltre che in opposizione ad Israele, ovviamente.

Dimostrando che fermezza e moderazione possano costituire le vere e solida fondamenta del futuro del Medio Oriente, in cui la religione non debba essere causa di divisioni, se vissuta con equilibrio e senza fanatismi.

E’ dalle moschee, dai luoghi di cultura, di istruzione e di preghiera, che si può e si deve ripartire.

Senza arretrare di un centimetro, sul campo di battaglia.

Per spazzare via l’odio e l’ossessione.

Con il vento che riprende a soffiare.

Nella giusta direzione.

 

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