Il nuovo capitolo di 007 è una splendida narrazione contemporanea.
Gli ingredienti del genere sono ben dosati, unitamente a una riflessione più profonda, sul valore del cambiamento, del rinnovamento, da affrontare senza arroganza, ma con umiltà.
Daniel Craig impersona un Bond sempre più umano e problematico
E, forse proprio per questo, inarrivabile come non mai.
“Spectre” è un racconto magnifico.
Un cocktail di classici elementi bondiani ed archetipi moderni, maturi, sui quali si sviluppa l’attuale società.
Location suggestive, donne affascinanti, inseguimenti senza sosta. E qualche bella esplosione, che non guasta mai.
Il giusto intrattenimento.
Immancabile e doveroso.
Questa, però, è solo la superficie.

Nel profondo, sotto l’apparenza, si coglie una riflessione sul mondo che cambia, si sgretola e prova a rinnovarsi.
A volte con umiltà (Q), altre con arroganza (C), nei giovani cuori.
Le informazioni sono il bene più prezioso, la sicurezza un’ansia quotidiana, la privacy un lontano ricordo.
Anche e specialmente per scelta nostra.
Proseguendo sulla scia degli ultimi tre film della saga (“Skyfall”, soprattutto), ovvero il nuovo corso di 007, di cui questo ne appare una degna conclusione, o comunque un punto di svolta decisivo, viene narrato un momento storico di intenso mutamento.
Le strutture, i ruoli, la mentalità.
Tutto scorre, tutto si trasforma.
Una metamorfosi incarnata mirabilmente da un ottimo Daniel Craig, di gran lunga il miglior James Bond, dai tempi dell’inarrivabile Sean Connery.
Sempre più fragile, sempre più umano.
Senza mai perdere la sua virilità, la sua forza.
Tra acrobazie aeree e pochette nel deserto, inverosimili e di classe, ma, proprio per questo, molto divertenti.
Léa Seydoux d’altri tempi, Monica Bellucci mediterranea (e da ridoppiare).
Sam Mendes praticamente perfetto, tra superbi piani sequenza a Città del Messico e la consueta potenza dei suoi personaggi.
E, finalmente, un antagonista degno di tal nome.
Reale e letterario allo stesso tempo.
Con un diabolico gatto bianco.





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