LOST IN AMBITION


Pensieri, sogni, esperienze e sprazzi di bellezza.

Il libro dei morti d’Oriente e d’Occidente

2–4 minuti

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L’orrore di Bruxelles è solo l’ultimo tassello, in ordine di tempo, di un sempre più profondo vuoto di cultura, di politica, di pensiero.

Un attacco al cuore di un’Europa unita essenzialmente dal regime fiscale, ma la cui identità e visione è ridotta a brandelli.

E intanto il Belgio si conferma debole, mentre la sua capitale prova a mostrarsi forte.

 

 

Le urla. Il fumo. Le sirene.
L’orrore.
L’orrore.
Più di due settimane sono trascorse, paiono due vite.

Un ferito all'aeroporto di Zaventem
Un ferito all’aeroporto di Zaventem

Bruxelles ha ricominciato a camminare, passo dopo passo, un centimetro alla volta.
Fino alla vittoria, avrebbe detto Al Pacino, negli spogliatoi, in una maledetta domenica qualsiasi.
Fino a una parvenza di normalità, si sospira invece da queste parti, in un martedì come un altro.
Il bagliore del sole, la Grand Place, un bicchiere di vino.
Negli ultimi giorni, l’arrivo della primavera (solo per un momento, sia chiaro: qui piove già di nuovo) ha rinvigorito gli animi, la speranza ha riempito i cuori.
C’è stata una reazione, quasi immediata.
Spontanea. Rabbiosa. Sincera.
La tensione non manca, comunque.
La paura, neppure.
Due nuove e costanti compagne di viaggio.
Come in altri crocevia del mondo, del resto, da Istanbul a Gerusalemme, in cui culture, religioni e mentalità differenti, si scontrano e si intrecciano.
Il nostro stile di vita si è irrimediabilmente alterato, al di là delle parole e delle dichiarazioni di rito.
Si esce, ma il più possibile a piedi; si gira, attenti a non sostare più di tanto nei luoghi affollati.
Si vive, sapendo che ogni attimo danzi con grazia e sfrontatezza, in equilibrio sull’abisso.
Si va avanti, senza sfidare la sorte, ma accettandola, perchè parte del nostro cammino.
D’altronde, quali potrebbero essere le alternative?

La Grand Place
La Grand Place

Certo è che il Belgio, a livello di autorità, si sia dimostrato fin qui del tutto impreparato, a questo momento storico.
Un popolo spaccato in due, per questioni etnico-sociali, che si perdono nella notte dei tempi; un paese senza governo, senza una guida, per quasi due anni, tra il 2010 e il 2011, incapace di cogliere il disagio e l’isolamento di interi quartieri (a due passi dal centro, come Molenbeek, dove mentre veniva maldestramente arrestato Salah, dopo mesi di latitanza a casa sua, gli abitanti lanciavano oggetti contro la polizia), proliferato nel frattempo a dismisura.
E ancor più profondo, in questo scenario, è il vuoto dell’Unione Europea.
Una formidabile idea di pace e unità, tra nazioni confinanti, che si sono combattute per secoli, ora impegnate insieme a relazionarsi in un pianeta sempre più piccolo, con giganti sempre più grandi.
Siano essi la Cina, l’India, gli USA. O lo Stato Islamico.
E invece, alla prova dei fatti, ci ritroviamo deboli, fragili, scoordinati, visceralmente legati ai propri interessi nazionali e a melmosi procedimenti burocratici.
Su molto altro si potrebbe discutere, dalla profonda empatia per i morti di Parigi, più che per quelli di Lahore, troppo distanti da noi, come civiltà, evidentemente, per generare dolore (e copertura mediatica, soprattutto), così come sugli errori americani del passato, dalle cui ceneri è sorto il mostro contro cui combattiamo adesso, figlio però di un antico rancore, che attendeva solo di essere risvegliato (o perpetrato, dopo l’11 settembre).
Di questo passo, l’Europa rischia di restare solo un’utopia, potente e irrealizzabile.
Affinchè ciò non accada, affinchè si decida davvero di combattere e di sopravvivere, occorre uno sforzo ben più profondo e incisivo.
O il libro dei morti, d’Oriente e d’Occidente, sarà ancora ben lungi dall’essere concluso.

 

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