Magistratura faziosa, dimissioni esagerate, verdetti contestati.
Un pensiero comune a diversi schieramenti, non soltanto berlusconiani.
Come il caso Errani insegna.
Vasco Errani, presidente della Regione Emilia Romagna, si è DIMESSO ieri.
La sua decisione è figlia della condanna per falso ideologico, subita in appello, a un anno di reclusione, sospesa con la condizionale.
Secondo la procura di Bologna, avrebbe influenzato la scrittura di una falsa relazione, per mezzo di due funzionari regionali, in merito ad un finanziamento illecito alla cooperativa di suo fratello, per una cifra intorno a 1 milione di euro.

In attesa delle più che probabili elezioni autunnali anticipate, non sono mancate le espressioni di sostegno e conforto all’ormai ex-numero uno di quel gran pezzo dell’Emilia (a capo della Regione da ben tre mandati, per quanto la legge 165/2004, art. 2 stabilisca la non eleggibilità, al termine del secondo incarico consecutivo).
Compresibile ed apprezzabile che tanti suoi colleghi di partito non abbiano abbandonato, quanto meno a parole, l’amico Vasco nel momento del bisogno.
Meno valorose, invece, le frasi polemiche nei confronti della magistratura, il rifiuto delle dimissioni e la discussione della sentenza.
Principalmente da parte quei membri del PD che esultavano di fronte ai guai giudiziari di esponenti di altre fazioni, per i quali era sufficiente un sospetto o il primo grado di giudizio colpevole, per farne oggetto di una caccia alle streghe di squallida pochezza.
Garantisti quando accade ai propri compagni, giustizialisti quando è il turno degli avversari.
Non vale per tutti i democratici, ma l’ipocrisia di molti li continua a rendere poco credibili.





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